Il Marco Polo si racconta

    Il Marco Polo si racconta

    Provo a dormire, ma non ci riesco. Ripenso ai numeri dati oggi dalla Protezione Civile sul Coronavirus. Per la prima volta sono diminuiti. Poi mi ritorna in mente quel tipo che ha mandato un video dal Giappone e parla di un nuovo farmaco che funziona. In serata alcuni esperti hanno detto che non è la soluzione. Ma i giapponesi per strada li ho visti. Anche i pesci sono tornati nei canali di Venezia. Sono segnali, segnali di vita. Voglio crederci. Voglio sperare che c’è la luce in fondo al tunnel. Probabilmente ci saranno altri peggioramenti. Ma non importa. Presto quei giapponesi che tornano alla vita normale saremo noi, ne sono convinto. Mi giro nel letto e provo di nuovo a dormire. Ma faccio ancora fatica. Penso al giorno dopo la fine del virus. Quando ci diranno “ok, potete uscire”. Per prima cosa voglio andare in un bar. E fare una colazione come non l’ho mai fatta. Poi mi vedo camminare per strada guardando tutto con occhi nuovi. Ecco. Forse la prigione in cui ci ha chiuso il virus da settimane può rappresentare questo. L’occasione di una rinascita, la possibilità di scoprire cose che avevamo smarrito. Un senso nuovo della libertà, il desiderio di stare con gli altri. Ma anche il piacere di stare da soli, per scelta non per costrizione. C’è da trovare una nuova misura del nostro vivere. Una sfida, umana e sociale. Questo pensiero mi consola. Mi rigiro ancora nel letto. Ma stavolta riesco a prendere sonno.

    Ludovico Arte, preside, 23 marzo 2020