Il Marco Polo si racconta

    Il Marco Polo si racconta

    lettera7

    Da quest’altra parte del mondo tento di scrivere una piccola riflessione riguardo alla situazione attuale.
    Sarebbe scontato dire che non è un momento facile, per nessuno, né per gli adulti che hanno già vissuto due terzi della vita né tantomeno (e soprattutto) per noi giovani ragazzi. Né per la Cina né per l’Italia e per gli altri Paesi a rischio.
    Io vi scrivo dalla Cina, dove due mesi fa si è diffuso questo maledetto coronavirus.
    Ero così felice di tornare a casa dopo anni, per passare un bel Capodanno cinese insieme alla mia famiglia. Speravo anche di visitare un po’ questo enorme Paese, che non conosco bene. Ho provato davvero tantissima rabbia quando ho saputo che avremmo dovuto fare la quarantena per via del virus.
    Nessuno vorrebbe pianificare un viaggio per poi starsene chiuso in casa, no? Ecco.
    Non vi nascondo che il motivo non era solo quello di non poter girare per i negozi o mangiare i miei amatissimi street food cinesi. Non potevo neanche andare a trovare i miei parenti.
    Sono stata barricata in casa per una ventina di giorni.
    Non vi nascondo nemmeno che mi lamentavo tutti i santi giorni.
    Giuro, non vedevo l’ora di respirare l’aria sporca, di rivedere le strade piene e zeppe di persone incivili, e non.
    Quanto invidiavo gli amici che si trovavano in Italia, oppure quelli che in qualche modo sono riusciti a tornarci perché sì, io ho dovuto pure posticipare il ritorno!
    Mi esaltavo tantissimo quelle poche volte che dovevamo andare a fare la spesa... malgrado si trattasse di uscire soltanto per 10 minuti. Mi sono immaginata le mie giornate qui in Cina senza tutto questo casino. Sembrava qualcosa di paradisiaco. La mia vita quotidiana, come quella di tutti gli altri cinesi, era così monotona: andare a dormire alle 4 e svegliarsi alle 14. A volte stavo talmente tanto al cellulare che dopo qualche oretta mi veniva la nausea.
    La situazione che si era creata qui in Cina non era facile né per chi era direttamente coinvolto né per chi, come me, la subiva da lontano. Sì, perché nella regione in cui sto io ci sono stati pochi casi. I più contagiati erano nelle città distanti da me. Però, un po’ di paura la sentivo pure io.
    Le scuole sono chiuse e i ragazzi stanno impazzendo, in particolar modo quelli che a giugno avrebbero dovuto sostenere l’Esame di Maturità. Professori e studenti sono tutti esausti di fare lezioni online perché, ammettiamolo, non sono affatto paragonabili a quelle “normali”. Tutti i lavoratori sono preoccupati
    Gli eroi sono i medici, gli unici a cui non è permesso di dire “sono stanco, voglio dormire”, anzi.
    Gli eroi siamo stati anche noi... noi cittadini che abbiamo cercato di fare qualcosa nel nostro piccolo, ed ecco che stiamo vedendo dei risultati! Se qualche settimane fa, che si tratti di zona rossa o meno, era obbligatorio farsi misurare la temperatura e registrarsi su appositi registri prima di uscire dal quartiere, dal condominio ecc., adesso è richiesto solo negli ospedali e nei luoghi affollati.
    Mi sono resa conto come un semplice “forza Wuhan!” o “forza Italia!” può veramente incoraggiare.
    Prendiamo questa fatidica quarantena come un‘opportunità per riscoprire le cose che avevamo lasciato nel dimenticatoio; per trascorrere più tempo con la nostra famiglia e magari anche con noi stessi.
    Io in primis apprezzerò di più la mia vita, in tutte le sue forme, e ciò che essa mi offre.
    Sembra quasi un capitolo di Storia, quella che si studia a scuola, con la sola differenza che questa volta siamo noi i protagonisti; siamo noi che possiamo dimostrare che la solidarietà e l’umanità in questi momenti sono le armi più potenti. E che l’egoismo non porta alla vittoria, anzi. La quarantena ci insegna che dovremmo smettere di criticare ogni cosa; dovremmo goderci quello che abbiamo. Prima che il tempo ci porti via tutto.  Prima che ce ne pentiamo. Prima che il “dopo” ci possegga il cervello. Smettiamola di colpevolizzare, serve a poco... eravamo tutti ignari del fatto che sarebbero stati gli ultimi abbracci, attimi di libertà, per un po’.

    Elena Chen, studentessa diplomata, 15 marzo 2020