L'ho tenuta per mano in duomo, a Milano. Faceva freddo, era ottobre, calava il buio presto. Mi sono sbalordita, quando ha accettato la mia stretta, mi aspettavo un rifiuto. Non facevamo niente di particolare. Osservavamo il duomo, in silenzio. Ci stringevamo la mano e ci meravigliamo della bellezza, dello stile gotico, della gente. Le ho raccontato di quella volta in cui la odiai, perché mi fece del male. Precisamente, mi tagliò. Senza volerlo, mi portò a sanguinare fino a portarmi in ospedale. Non la volli lasciare ma la odiai. Forte. Mi resi conto di non aver mai odiato nessuno così ma di non aver mai nemmeno amato nessuno in quel modo.
Mi costrinse a dire che l'avevamo fatto insieme. Tutto combaciava, perché poi ci siamo baciate, ci siamo amate. E ci è voluto tanto tempo. Abbiamo lasciato una parte di noi sotto i nostri corrispondenti cuscini, per poter poi, tornare l'una dall'altra e non perderci più.
L'ho incontrata che era giorno, l'ho amata che era notte. Di fronte a uno specchio, sole. La guardavo e la vedevo debole, vulnerabile, però poi era salva. Era con me. Sana. E mi allungava la mano nello specchio, l'avremmo superata insieme. Era notte. Ero io. Ero sempre stata io. Amarsi, prima di amare gli altri. Sempre.
Mi sono accorta di quante persone si guardino e si odino. Ragazzi, ragazze, ragazze che si sentono ragazzi e viceversa. Prendersi per mano in duomo, a Milano e iniziare da lì. Accettarsi prima da soli e iniziare il cammino per Milano, verso l'amarsi. Sempre iniziare da sé stessi. Gli altri, si fottano.
(Bianca Cernuto, 5H)