Il Marco Polo si racconta

    Il Marco Polo si racconta

    Dal divertimento al rischio è un attimo

    Sono arrivato al termine di un’altra giornata. “Adesso posso rilassarmi”. “Penso che navigherò un po’ sul telefono”. Oramai lo svago principale di noi adolescenti è quello. Esistono una quantità impensabile di social che ogni giorno visitiamo, piattaforme sulle quali circolano notizie d’attualità, bufale, comicità, ma purtroppo alcune volte ci si imbatte anche nel lato “dark” del Web… video di stupri, omicidi, torture, video che incitano al bullismo e all’odio. Tutto viene pubblicato per avere i follower…i “like” che sono diventati veri e propri simboli di riconoscimento sociali.
    In rete arriva la moda dei selfie killer come quelli di rimanere fino all’ultimo secondo sui binari mentre sta arrivando il treno oppure sporsi troppo di fronte a scarpate a strapiombo nel vuoto. Molti ragazzi hanno perso la vita per questo.
    Quello che più mi intimorisce, però, sono le “challenge”. Dovrebbero essere delle gare sportive in cui si assegna un premio. La generazione di oggi, invece, ritiene queste gare o come una sfida per far vedere chi è il più forte, chi è più ganzo, chi è più coraggioso. Penso che le challenge di oggi siano tutt’altro che sportive, con premi che molto spesso si rivelano essere la morte. Si filma tutto e lo si lancia in rete per avere i “like”.
    Una tra le prime entrate in circolazione è stata la “pizza challenge” che consisteva nello scegliere alimenti a caso da trascrivere su dei bigliettini e l’ingrediente pescato andava aggiunto alla pizza che poi doveva essere mangiata. Quindi stramba ma al tempo stesso divertente da provare con gli amici. Ma poi succede che può salire la smania dei like. Se ne vogliano sempre di più e il tiro allora si alza. In che modo? Facendo cose folli, pericolose. Pensando che se torturo una persona o la bullizzo e rendo tutto pubblico divento conosciuto e seguito.
    Una tra le più estreme è stata la “Blue whale challenge”: per vincere devi morire; l’ideatore aveva elaborato 50 sfide da svolgere in 50 giorni, ed ogni sfida richiedeva prove sempre più forti come il non dormire o l’autolesionismo. L’ultima sfida, però, era quella fatale, la prova che datava il giorno della morte: salire in cima ad un palazzo e lasciarsi andare mentre si era ripresi al telefono da una seconda persona. Tutto questo andava a finire nelle mani del curatore. Una cosa alquanto macabra.
    Ciò può sembrare folle immaginazione, ma per alcuni ragazzi è stata pura realtà.
    Come è possibile che tutto ciò accada nel 2020?
    Ragazzi facciamo attenzione, teniamoci stretto il nostro amato telefonino, ma dobbiamo essere maturi abbastanza per mettere i like sulle cose davvero belle della vita e denunciare qualsiasi cosa ci sembri strana o non regolare.

    (Mirco Nelli, 3D)