Il Marco Polo si racconta

    Il Marco Polo si racconta

    27 gennaio (1945)

    “Cara Annelies, è passato tanto tempo dall’ultima lettera che mi hai inviato. Ricordo ancora di quando mi raccontavi le tue giornate, alle quali tenevi testa nonostante tutto, e di quando mi scrivevi della vita che tanto desideravi avere in futuro. Scrivi ancora sul tuo diario? Spero vivamente di si, hai un talento innato per la scrittura. Come stanno gli altri? Le giornate passate a lavorare, leggere, scrivere, aspettare e temere il peggio sono ancora così lunghe? Non oso immaginare cosa tu abbia provato e stia provando. La mancanza di umanità è incredibile ed il ricordo dei tuoi racconti è indelebile: il viaggio in treno, le separazioni, le selezioni e l’arrivo in quell’inferno terrestre. Mi piacerebbe tanto vederti, speriamo di incontrarci presto.”
    “Anne, come stai? Sono trascorsi mesi dalla mia lettera ma non ho ancora ricevuto risposta, spero non sia successo niente di grave. Immagino che la vita lì dentro sia molto dura, faticosa e al di fuori dell’immaginabile, anche peggio di ciò che si crede in giro. Mi manca leggere le tue parole, aspetto tue notizie.”
    “Ciao Anne, per l’ultima volta. Ora so perché non mi scrivevi più, ora so perché non ho ricevuto più tue notizie. Conserverò le tue lettere e continuerò a pensarti fino a che ne sarò capace, anche se tu non leggerai mai niente di tutto questo… Conserverò il tuo ricordo, farò sentire la tua voce e porterò la luce in quei campi bui. Diffonderò il tuo messaggio e farò in modo che tutti conoscano la tua storia, lo farò per te. È tutto ciò che hai sempre voluto. Hai smesso di scrivere, hai smesso di sorridere e la tua luce è stata spenta, così come la speranza di libertà e di costruire la vita che hai sempre desiderato. Non riesco a credere che questo sia accaduto proprio a te, alla mia amica, una ragazza dolce, pura e gentile, ma purtroppo “diversa” dal modo in cui ci vogliono. Per me non sei così come ti hanno descritta, non sei diversa. Non sei riuscita a resistere a lungo, ti hanno strappata al mondo troppo presto. Ancora qualche mese e saresti stata capace di incontrare la vita, quella vera: il 27 gennaio hanno liberato tutti, ci credi? Tu potevi essere tra questi, hanno aperto i campi e portato alla luce un segreto rimasto sepolto troppo a lungo. Il 27 gennaio non è un giorno come un altro, ma un giorno da ricordare tutti i giorni, perché ciò che è successo non può e non deve essere dimenticato. È disumano, e lo è anche il fatto che in pochi siano capaci di raccontarlo. Dobbiamo fare in modo che tutto questo non ricapiti, che nessun altro sia costretto a subire la “normalità” che avete subito tu e tanti altri insieme a te, donne, uomini, anziani e bambini senza distinzioni. Sarete ricordati, tutti voi. Per colpa di quegli uomini molti hanno perso i genitori o i parenti. Per colpa di quegli uomini tedeschi io ho perso la mia amica, non riesco a crederci. Mi manchi così tanto e mi mancherai sempre. Ricordo di quando mi raccontasti la storia che si diffondeva tra le persone nel campo e che alleggeriva la tensione: una farfalla gialla che volava oltre le recinzioni di filo spinato, che raggiungeva la libertà. Questa mattina ne ho vista una e allora ho capito, eri tu.”
    (Giada Amoruso, 3D)