Come disperso in un mare in tempesta, cerco invano la luce del faro che mi indichi la strada da percorrere. Mi guardo attorno e vedo solo il bagliore dei lampi. Come un occhio, che, largo, esterrefatto, si apre e si chiude nella notte nera. Imponenti figure mi appaiono, quelle dei grandi. I grandi del passato, che hanno lasciato un’orma nella storia, un'impronta fresca, un contributo ancora tangibile di cui si può fruire tutt’ora in maniera più o meno cosciente. Una loro immagine non importa essere raccontata. Il loro nome è un discorso chiuso con un punto. In mezzo a tutto questo fasto, un ragazzo come me, normalissimo, con i suoi pregi e difetti, cosa può sperare? Dove può arrivare? Cosa posso fare per avvicinarmi a loro? Mi sento schiacciato da queste figure solenni, dal loro genio incomparabile che li ha resi tali. Ho un fardello che porto sulle spalle. Una miscela di obbiettivi, quelli mi sono posto, pretese e aspettative, che le persone hanno nei miei confronti, e infine pressione, che loro generano in me. Sento che per realizzarmi devo allora fare qualcosa di grande. Qualcosa che rimanga, che difficilmente si dimentica. Ma cosa? Ci penso. Penso e trovo la risposta. Capisco. Capisco che non è quello che voglio, ciò che conta per me è altro. Altre le cose veramente “grandi”. Voglio essere da esempio per i miei figli, il loro supereroe da piccoli e il loro orgoglio da adulti. Voglio essere il marito di mia moglie, stare al suo fianco nella buona sorte e nelle avversità. Avere un lavoro dignitoso, che appaghi i miei sforzi e sacrifici. Quindi è vero, voglio essere ricordato, non da tutti, non dai libri… solo dalle persone a cui voglio un gran bene; quelle che mi vogliono bene.
(Marcello Consigli, 5B)