Il Marco Polo si racconta

    Il Marco Polo si racconta

    L’impiccato

    Uno alla lavagna e gli altri al posto. “C’è la lettera c?” “No!” e col gesso veniva aggiunto un segno a quell’ometto stilizzato legato con una corda e con i piedi penzolanti per aria. Era divertente giocare e scherzare con altre persone a quel gioco. Non si aveva la minima idea del perché ad ogni sbaglio si dovesse disegnare quella strana immagine al posto di disegnare delle semplici linee rette. Non ci facevamo neanche tanto caso, pensavamo solo ad azzeccare la parola ed andare alla lavagna per far indovinare la parola scelta agli altri. È il famoso gioco “dell’impiccato”. Mi ero sempre chiesto cosa avesse a che fare l’impiccagione con un semplice e stupido gioco come quello.
    Un giorno finalmente riuscii a darmi una spiegazione significativa, una spiegazione alquanto agghiacciante. Per anni ci eravamo portati dietro un gioco, che aveva solamente lo scopo di conferirci una lezione di vita. Ciò che questo voleva trasmetterci è il fatto di stare attenti con le parole, perché se utilizzate nel modo sbagliato possono ferire le persone. Molto spesso non ce ne rendiamo conto, ma utilizziamo vocaboli che, se anche impiegati per gioco o scherzo, non sono affatto scherzosi.
    Le parole, infatti, sono strumenti potenti, tanto da causare un forte dolore emotivo. Come se all’interno del nostro corpo ci fosse un’esplosione tale da distruggerci l’anima e frantumare il cuore in mille pezzi. Le parole vengono catturate dalla nostra mente e da lì non usciranno mai più. Un qualcuno può scusarsi con la vittima per averlo offeso, ma quelle parole oramai espresse resteranno indelebili nell’offeso, il quale sarà costretto a portarsele dietro come un’ombra che mai lo abbandonerà.
    Da quel giorno non ho visto più quel gioco con gli stessi occhi di prima. Da quel giorno le parole che uscite dalla mia bocca non erano più parole lanciate al vento, bensì soppesate prima di dirle.
    Vi prego, fatelo anche voi…

    (Mirco Nelli, 3D)