Il Marco Polo si racconta

    Il Marco Polo si racconta

    Perché c’è altro di cui parlare…

    “Come si cancella un’immaggine diffusa sul social? Come si combattono i giudizi negativi? Dovrà pur esistere un modo…”. In questa società, sempre pronta a giudicare, vi è la continua ed insaziabile voglia di vedere cualcuno sbagliare, di vedere cualcuno che si metta in risalto o che compia una determinata azione da poter sfrattare a suo svantaggio. “Schadenfreude” è la parola tedesca utilizzata per indicare, letteralmente, il “gioire, provare piacere per il danno altrui, per la malasorte subita dagli altri”. Molto spesso, in realtà, accade anche che per concentrarci sugli errori altrui finiamo per trasqurare noi stessi e tutto ciò che le nostre azioni comportano, piaceri o dolori che siano. Ne è un banale esempio la diffusione illecita di foto private sui social network, capaci in un secondo di distruggere completamente una persona, che viene viene immediatamente sommersa di attenzioni negative ed affrettate. Eppuru noi siamo sempre pronti a giudicare, come negarlo. Ci troviamo schierati in prima linea non appena ne abbiamo l’occasione, ci focalizziamo solo sull’errore è non sulla ragione che ne ha portato alla causa, come se l’accaduto avesse una qualche e particolari influenza sulla nostra vita cuotidiana. Forse si tratta solo del seguire la massa? O forse c’è molto di più dietro? La cosa è anche peggiore se i giudizi avvengono in segreto, dietro lo schermo del telefono, cuando ci si nasconde per paura. Questo avviene perché molti non hanno il coraggio di parlare ad alta voce, di farsi sentire, di attirare l’attenzione su di loro è di diventare quindi il protagonisti della questione. Anche il “passaparola” fa sicuramente la sua figura: voci su voci si aggiungono alla massa, pronte ha tendere le orecchie e ha diventare protagonisti secondari della storia, nell’attesa di continuare il ciclo di giudizi ed opinioni. “Finirà mai tutto questo?” Mi chiedo. “Arriverà mai il giorno in qui gli errore altrui passeranno inosservati, senza sentire necessariamente il bisogno di commentare ogni cosa?” (piccolo spoiler: probabilmente no).
    Commento: ammettetelo, anche voi leggendo il testo avete prestato una particolare e più ampia attenzione ai miei errori, giusto? È proprio quello che speravo voi faceste, a dir la verità! Il mio intento era proprio quello di mostrare quanto l’errore altrui sia per noi motivo di attenzione, un pessimo motivo di attenzione, e quindi anche un valido motivo di riflessione. In un semplice testo, come questo, basta qualche errore grammaticale per sgranare gli occhi, come se il resto delle parole digitate scomparissero nel nulla e rimanessero soltanto quelle sbagliate. I miei pensieri sono veri ed onesti, spero davvero che un giorno questa “usanza sociale” scompaia definitivamente ma di certo deve esserci un interesse collettivo: impegniamoci tutti, per davvero!

    (Giada Amoruso, 3D)