Pizzicore. A volte insopportabile quasi ai limiti dell’irritazione. Dopo qualche ora, anche l’odore non è il massimo e in più ci si mette quell’umidiccio che toglie il fiato.
Esco fuori, me ne libero e respiro. Mi accorgo di quanto sia naturale respirare, di come i polmoni finalmente ricevono aria libera.
Cerco le chiavi di casa in tasca ed eccola! Sulla scrivania ce n’è di ogni colore, qualcuna nuova, qualcuna accartocciata. Le trovo ovunque! All’ingresso di casa un box ne contiene diverse, prima al suo posto c’era un vaso con una composizione di fiori che mia madre cambiava a seconda della stagione.
È lontano il giorno in cui il mondo cambiò, il giorno in cui fu annunciato alle televisioni: “Da oggi diventa obbligatorio l’uso della mascherina”. Non ricordo quale fu la mia reazione, so soltanto che quel giorno segnò un gran cambiamento: la normalità stava per essere travolta da un’onda di irregolarità. La famosa “mascherina” non era soltanto il simbolo di una grave pandemia, ma soprattutto l’oggetto protagonista di uno sconquasso sociale. Sembrava che tutti vivessimo in una sala operatoria dove la mascherina è possibile toglierla solo quando è finito l’intervento. Ma quando finirà questo ‘intervento’?
Oggi, dopo quasi due anni, conviviamo ancora con questo dispositivo di protezione e oramai fa parte di noi. Fa parte della nostra pelle, ci si è quasi incollato. Ci sono persone di cui non ricordo bene una parte del loro volto. Anche la comunicazione diventa difficile, dobbiamo alzare la voce, non si vede il movimento delle labbra, non si vedono le espressioni del viso. Occhi, solo quelli possiamo usare per mostrare un sorriso anziché tristezza. E se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, la bocca ci serve per baciare.
Mi auguro che presto, prestissimo, la mascherina possa restituirci la nostra identità.
Mirco Nelli, 4D