Conobbi una ragazza, aveva il dolore negli occhi.
Era giovane, poco più grande di me, veniva dalla Russia: avevo capito tutto. Sapevo cosa succede lì, l’orrore che alcune persone vivono ogni giorno in quel paese: non sapevo come pormi nei suoi confronti. Avevo paura di dire qualcosa di sbagliato o di riportare a galla ricordi che lei aveva tentato a fatica di reprimere, ma non dovetti fare nulla: lei si aprì a me quasi spontaneamente, come se ci conoscessimo da una vita e avessimo vissuto quel dolore insieme.
Mi ha mostrato i segni che il suo corpo aveva riportato, nati semplicemente dalla passione per il suo sport, che ormai non riconosceva neanche più. Faceva ginnastica ritmica: mi ha raccontato della severità con cui in Russia tentano di formare nuovi atleti e dell’indifferenza degli insegnanti, loro stessi artefici di quelle torture. L’ho abbracciata: conoscevo queste storie, ma le credevo solo un mito o almeno speravo che lo fossero, non osavo pensare che dietro ci fosse un fondo di verità. Ha continuato a parlare, l’ho lasciata dire tutto ciò che era necessario senza interromperla mai: si fidava di me. Non capivo come mai, non avevo mai instaurato questo tipo di rapporto con nessuno così velocemente, eppure era successo.
Mi aveva parlato anche di un altro fondamentale dettaglio della sua vita personale: il suo orientamento sessuale. Per anni aveva cercato di reprimere o di nascondere questa parte di sé al suo paese, tanto da arrivare a non avere neanche un’idea precisa sulla sua persona. Non era tutelata, non era protetta, agli occhi della Russia lei non era niente, ogni cosa che poteva renderla felice le era proibito o insegnato con la forza: anche questa parte di lei si era spenta. Era un’anima vuota, empatica, silenziosa, che forse per la prima volta aveva trovato il coraggio di raccontarsi, sperando in qualcosa di positivo. Ha però concluso il suo racconto sorridendo, quasi inspiegabilmente: ho ricambiato quel sorriso. In quella storia, mi aveva detto, c’era anche un lieto fine: dopo anni di sofferenze era riuscita ad andarsene da quel mondo, da quell’universo che incomprensibilmente esiste davvero e non è solo una storia dell’orrore che viene raccontata per intimidire qualcuno. Quel paese ha lasciato un segno indelebile sulla sua anima e in quella di tante altre persone e, ad oggi, rappresenta un capitolo significativo all’interno di quel libro così particolare. La vita di questa ragazza ha ricominciato a funzionare solo dopo anni di sofferenze, solo dopo aver trovato il coraggio di andarsene: il suo desiderio più grande, però, era che quella parte della sua storia non fosse mai esistita.
Giada Amoruso, 4D