Hai compiuto vent’anni. Ce l’hai fatta, hai compiuto vent’anni. Potrò dirtelo, il 10 di giugno, quando li compirai. Hai vissuto vent’anni della tua vita nonostante avresti potuto congedartici a 13. Invece hai superato la soglia, sei andata al di sopra delle tue aspettative, come hai sempre fatto e sempre ti sei stupita di te stessa. Vent’anni. Senza papà, senza nonno, senza fidanzato. Primo compleanno senza papà, ce la farai? È un grande peso. Ma hai ottenuto tanto, hai dato tanto. Hai sempre paura di dormire sola? Hai sempre paura di camminare per strada e vederlo, ma non c’è?
Sono fiera di te, te l’ho mai detto? Forse no, ti ho sminuita tanto ma ti sei sempre saputa adattare, anche quando la tua testa girava forte. Ti ho sminuita contrattaccando il tuo dolore, arrecandotene di fisico, fino a farti sanguinare. Negli anni ti sei concentrata, anche se la concentrazione non è il tuo forte. Vent’anni, ci rendiamo conto? Con i tuoi gatti, i tuoi libri, i tuoi fogli pieni di parole che diresti al mondo intero e ti sei tenuta per te. Il tuo pianoforte, che hai deciso rimanesse in silenzio mentre tutto ciò che voleva era essere suonato. La tua paura di perdere Leonardo, che la mamma restasse sola, che quel pianoforte venisse suonato ancora, che i fogli restassero bianchi. Stai andando avanti, avanti… dove non ne hai idea, ma non importa. Ti svegli, ti alzi, ti lavi e ti vesti e questo per ora è l’importante. Alzarsi. E spero che tu non smetta di farlo.
Alla me, fra poco Ventenne.
Immagina una stanza di infiniti specchi.
Strani specchi che distorcono la realtà.
Tanti riflessi falsi di un’unica realtà che si trova allo stesso tempo in tutti gli specchi e in nessuno.
La mia immagine in questo momento non è certamente quella di ieri e sicuramente non sarà la stessa di domani.
In una stanza dagli innumerevoli specchi io che vi entro sono realtà, ma non riuscirò mai a vedermi né a mostrarmi se non attraverso uno di questi riflessi distorti. Potrò scegliere quello che in quel momento mi si addice di più, e potrei cambiare idea nell’istante successivo. Potrei sentirmi appartenente al riflesso precedente scegliendone comunque uno nuovo.
Mi trovo allo stesso tempo in ognuna e in nessuna delle mie molteplicità. Tutte mi rappresentano e nessuna spiega davvero chi sono.
Potrò cogliere qualcosa di me in ogni riflesso sempre, insieme a qualcos’altro che non mi riguarda affatto.
Quello che in conclusione sono, forse nemmeno io stessa lo saprò mai veramente.
E come spiegare qualcosa che non sai… se non attraverso frammenti di certezze momentanee e incredibilmente volubili?
Mi presenterò sempre per quella che credo sia la versione che più possa avvicinarsi ad una sintesi di tutto ciò.
Una sintesi della molteplicità costituita dall’immensa quantità di riflessi che vedo all’interno di me.
Cercherò di trarre ed esplicitare più dettagli possibili, senza però avere la certezza che essi non svaniscano nell’istante successivo.
Ognuno di noi è sicuramente più di uno, è molti.
È una folla costituita da un’infinita varietà di classi che pensano in modo completamente differente ma nelle quali si possono trovare cenni concordanti.
Una voce risuona nelle mie orecchie e continua a pronunciare il mio nome: “probabilmente staranno chiamando qualcun altro”, penso. Riprendo il mio sogno, mi focalizzo sulla mia mente. Sembra di volare oltre la realtà, per poi ingrandirla e renderla migliore: mi proietto in un mondo diverso, completamente scelto e regolato da me, dove tutto segue la direzione da me voluta e che può cambiare a mio piacimento. “Non vedo l’ora di tornare a casa e leggere il mio nuovo libro, Orgoglio e Pregiudizio; sono così contenta di averlo finalmente comprato! La copertina è talmente bella che non riesco a smettere di guardarla, con quel pavone dorato su sfondo azzurro. Chissà come sarà…”; e ancora: “Ah giusto, devo studiare. Probabilmente non riuscirò ad iniziarlo oggi. La mia mente dovrà continuare ad immaginarsi la storia ancora per un po’”. I miei occhi continuano a rimanere aperti, ma non prestano attenzione a ciò che guardano. I pensieri variano ogni minuto, passando da un argomento all’altro con grande facilità ed io mi perdo sempre più dentro me. Finisce che dal nulla mi ritrovo con gli occhi fissi a guardare il vuoto, oltre la finestra, a pensare, immaginare e sognare di tutto, cercando di evitare di staccarmi completamente dalla realtà che mi circonda. Un suono mi risveglia, come per magia, riapro gli occhi e il mondo è sempre lì, esattamente come l’ho lasciato poco prima. “Quanto è durato?” mi domando, “per quanto tempo non ci sono stata?”. Che sia solo frutto di stress, noia o frustrazione, o la realizzazione di un vero e proprio desiderio? Sognare ad occhi aperti mi permette di immaginare un futuro, rielaborare alcune emozioni o crearne altre, di staccare da una realtà che non sembra mi appartenga. Lascia completa autonomia e libertà creativa, permettendomi di dar vita ad un universo parallelo fatto appositamente per me. Riesco a costruire una realtà così perfetta da sembrare vera, quasi più vera di quella che effettivamente mi circonda.
Non mi resta che sognare, immaginare e creare ad occhi aperti. Continuare a fantasticare con la mente fino ad arrivare in quei luoghi sconosciuti, reali o immaginari, che tanto desidero scoprire. Ho la possibilità di combattere quelle battaglie che sembrano insuperabili, di vedere positività anche nei luoghi in cui questa è più nascosta e di programmare un’intera vita fuori dagli schemi. Sono io la padrona di questo mondo, è la mia mente: per questo, non mi resta che sognare.
Non so se qualcuno di voi leggeva il “vecchio” giornalino del Marco Polo.
Eravamo tantissimi in redazione, scrivevamo di tutto; alcune persone si erano perfino “specializzate”. Ad esempio, Yasmine era quella dell’Oroscopo e io ero quella dei Fumetti.
Ogni mese facevo piccole strisce; di solito erano basate su ironia o sarcasmo.
I miei fumetti venivano messi sempre in fondo al giornalino e li facevo sempre con il solito personaggio principale.
La redazione la chiamava “volpina” ed era diventata quasi una mascotte. Si chiamava Lulù, una volpe vivace, scherzosa, a volte un po’ rozza, ispirata dai cartoni degli anni ’30, aveva il compito di far sorridere il lettore (che ai tempi inizialmente erano solamente la sottoscritta o qualche membro della mia famiglia), era un modo per esprimermi.
La creai nel 2018 e l’anno successivo il giornale Oltre il Polo mi ha dato la possibilità di pubblicarla in modo che altre persone potessero conoscerla.
Da qualche parte ho ancora le mie prime strisce con lei…
Questa volta però la faccenda è diversa: adesso la redazione è composta solo da una decina di ragazzi e scrivo in un blog.
Lulù è dovuta andare in letargo e ho dovuto iniziare a scrivere articoli, cosa che prima non facevo.
Ho fatto un salto enorme… scrivere e fare fumetti non sono per niente la stessa cosa.
Il fumetto ha l’immagine, che a volte dice più di mille parole, l’articolo invece no. Scrivendo è più difficile far capire al lettore quello che voglio comunicare; con il disegno posso utilizzare anche il linguaggio non verbale; le parole a volte non rendono bene come un’immagine. Per me è molto più facile esprimermi disegnando personaggi che con la scrittura.
Forse Lulù tornerà dal suo letargo quando e se ci sarà di nuovo un giornalino, ma per ora scrivo.
Non è da tantissimo che lo faccio, ma ci proverò e non sarà un problema.
Me la caverò.
Sarà un’altra esperienza.
In seguito all’assalto a Capitoll Hill e dopo uno scambio di opinioni, ci siamo chieste: bisogna per forza arrivare alla violenza?
Le nostre considerazioni personali sono state sviluppate nei due testi seguenti. Speriamo vi piacciano. Buona lettura!
Bisogna per forza arrivare alla violenza?
Sapete tutti cos'è la violenza? Quelle azioni che le persone compiono con la forza, per imporsi o per danneggiare l'altro.
Quelle brutte azioni che chi le esercita considera giuste, crede di star facendo bene e di risolvere poi in questo modo i suoi problemi.
Ecco, io mi chiedo: ma cosa vi fa credere che la violenza sia la giusta soluzione?
Mi hanno sempre insegnato che farne uso ne procura solo altra. Non si risolve nulla se alzi le mani e picchi qualcuno.
Meglio parlarne, chiedere un incontro e confrontarsi faccia a faccia di ciò che ti turba e risolverlo pacificamente. Quindi perché, se ci sono migliaia di altri modi per evitarla, ne dovete fare ricorso?
Queste sono domande che mi frullano in testa da un po', ma che sono cresciute soprattutto in questi ultimi mesi, perché, a parere mio, la violenza è aumentata e di molto.
Ho sentito molte più notizie negative di persone che hanno preferito i fatti, le azioni, al dialogo...
Con fatti, però, io non intendo cose come scendere in piazza e scioperare per ottenere qualcosa, no no, mi riferisco a quelle “manifestazioni” (se così posso chiamarle) dove invece di ascoltare si urla e si fa ricorso alle armi.
Un esempio fresco è l'attacco al Campidoglio.
Perché avete dovuto attaccare così, dal nulla? Quali risultati avete ottenuto in questo modo?
A mio parere, vi siete solo ricoperti di ridicolo, non avete usato il cervello e vi siete buttati a capofitto nella confusione.
Da quella notizia, ho avuto paura per molti giorni, ho pensato al peggio, ad ogni possibile scenario che potesse venirmi in mente. Ho provato solo paura.
Ecco quali sono i risultati che hanno ottenuto quei ribelli.
Ecco a cosa ti porta la violenza. A vivere nell'ansia e nella paura
E io questo lo vorrei evitare...
Alice Maestrini, 3H
Dobbiamo ricordarci, tuttavia, che le medaglie hanno sempre due facciate, così come la luna ha una parte oscura che non abbiamo mai visto, che ci siamo sempre limitati ad ignorare. Proprio da quella parte oscura, della luna e della storia, da quell'abisso di dolore, alla fine è insorta una voce, un urlo soffocato che chiedeva null'altro che aiuto e solidarietà. É stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: quella goccia si chiamava George Floyd, l'ennesima vita nera oppressa esattamente da quegli enti nati per proteggere. Proteggerci tutti equamente: questo dovrebbe essere lo scopo principale della polizia. “Il gioco è bello quando dura poco”, però il gioco non è mai stato bello ed è durato tanto, troppo: ad un certo punto si raggiunge il limite. E cosa succede quando la gente si arrabbia? Comincia a lamentarsi, a protestare e a chiedere giustizia per i propri fratelli e sorelle, giustizia per i propri figli e validità, valore, importanza: “le vite nere sono importanti”, non uno slogan volto alla supremazia di quest'ultime sopra le vite bianche, ma un ordine, un obbligo a ricordare ai più privilegiati che in questo mondo siamo tanti, variopinti e diversi; ed è questa diversità che dovremmo celebrare e rispettare invece di sopprimere. La rabbia, come dicevo, può essere espressa in modi diversi: con la violenza, con gli attacchi e gli assalti; può stravolgere l'uomo così tanto da farlo diventare una bestia fuori controllo; l'ira, se fomentata giornalmente, è come un uragano che trascina tutti con sé, volenti o nolenti. Questo è ciò che è successo a Capitol Hill, la rabbia pura, la malattia canina che si caratterizza per il bisogno di mordere ha colpito questi uomini, veri e propri terroristi i quali hanno consapevolmente deciso di declinare la propria collera in violenza. Perché non è successo durante le proteste blm? Due motivi: numero uno, in questo caso dietro la rabbia c'era un altro fattore fondamentale, la paura legata ad uno sfondo di terrore considerevole. Numero due: semplicemente perché la saggezza e la sapienza di una bellissima minoranza ha prevalso ed è sfociata nell'atto opposto, rispondere alla violenza con la pace. Si è creato un parallelismo nella storia, una collisione sugli stessi termini: la celeberrima foto della ragazza che durante la guerra del Vietnam negli anni '60, infilava un fiore nella canna del fucile e le migliaia di persone distese per terra a riprodurre l'orribile maniera in cui si è svolto l'assassinio di George Floyd, dinanzi ad una schiera di poliziotti armati fino ai denti. Questa è la più grande differenza nei due tipi di rabbia: protestare pacificamente, disarmati, reagire alla violenza con un messaggio d'amore, di solidarietà e d'uguaglianza ed, invece, reagire alla rabbia con la violenza, l'istinto più primitivo dell'uomo. Ma davvero è inevitabile arrivarci?