"Speranzoso dell'esistenza d'una vivace e misteriosa divina provvidenza che aleggi sopra questi stupiti e discutibili corpi materiali, oggi m'è piaciuto creder d'averti visto nuovamente negli occhi di un'anima che t'assomigliava ma che non portava il tuo nome. Curioso come riesca ancora a riconoscere il tuo sguardo tra le genti.
Quelle stesse sconosciute genti che quando mi videro preoccupato davanti al loro innocente sguardo mi chiesero se avessi ancora il senno, ma i loro occhi mi ricordarono così lucidamente la tua immagine e le emozioni provate con te che non riuscì a parlare, quindi perplessi li lasciai.
Don Quijote m'improvvisai, chiedendomi se quello sguardo, sebbene non fosse il tuo ma d'un innocente figlio, fosse causa della mia stupida immaginazione della quale mi servo per svanire ai pensieri scomodi, persino quelli che ti riguardano.
Troppo presto per sapere se quegli occhi fossero tuoi o del fato che vuole sfidarmi, troppo tardi per distorcere la flessione dei miei pensieri. Stolto ormai mi vedo a pensare ancora a te notando il tuo sguardo tra chi di noi non sa e non saprà mai, ma non così stolto mi sento da non affinare il mio pensiero, rafforzando gli angoli dell'anima per affrontare nuovi te: persone che incarnano ciò che mi mise in ginocchio davanti al tuo sguardo".
Vi capita mai di sentirvi in trappola? Nel senso stesso della parola, intrappolati, senza via di fuga.
Io, penso di sentirmi in trappola da tutta la vita.
Imprigionata all'interno di un monotono susseguirsi di eventi senza fine, rinchiusa dietro le sbarre della mia vita.
E vi capita mai di voler fuggire? Di essere finalmente liberi? Vi capita mai di dire: "ok, è tutto pronto, ho preso la tenda, il sacco a pelo, domani parto"? A me recentemente, purtroppo, capita spesso.
Vedere il mondo attraverso uno schermo non mi basta più, non è fatto per essere visto.
Il mondo va vissuto, le persone vanno conosciute e l'aria respirata.
Mi chiedo cosa si provi a dormire ogni giorno sotto un cielo diverso, a camminare senza meta alla scoperta di quei piccoli particolari che magari nessuno si è mai soffermato ad osservare.
Vivere.
Essere liberi da queste catene che ci costringono ad una vita di necessità.
Essere cittadino del mondo, alla ricerca della propria felicità e del proprio io.
Arrivare a 50 anni e poter dire: "mi fermo, ho visto abbastanza e sono contenta".
Voglio poter dire di aver vissuto il mondo come un viaggiatore errante.
E di aver conosciuto persone sparse per tutto il globo.
La vita non si può scegliere, la vita si vive.
Ed in quanto vivente, voglio farlo,
al pieno delle mie possibilità,
Per la mia felicità.
Con il passare degli anni mi sono reso conto di quante siano state le situazioni nelle quali avrei potuto tuffarmi istintivamente, ma poi non ho avuto il coraggio o la voglia di farlo.
Sono state tante, forse fin troppe, ma dietro a tutto questo c’era qualcosa.
Mi sentivo come se fossi bloccato totalmente da una rete.
Qualcosa di più psicologico che fisico, un vero e proprio blocco mentale.
Un blocco che non mi ha fatto vivere a pieno alcune situazioni, alcune emozioni.
Un blocco che mi ha fatto prendere delle decisioni sbagliate o forse solo diverse da quelle che avrei voluto prendere davvero.
Per anni ho provato ad agire e a muovermi in modo diverso, a fare quel qualcosa in più, provare a buttarmi di più nelle cose, nelle situazioni che si creavano intorno a me e intorno alla mia vita.
Il motivo di questo blocco sono riuscito a capirlo solo da poco tempo.
Ho compreso come questa impossibilità nello spingersi oltre, nel mostrarsi, nel prendere il posto davanti a tutti, fosse in realtà un problema di autostima e paura di essere giudicati.
La paura di essere giudicato per una parola detta e per un semplice gesto o atteggiamento.
Tutto questo limitava il modo di esprimermi.
Limitava il mio personale modo di essere.
Ora so quanto sia bello cadere per poi rialzarsi senza avere paura di nulla, senza avere paura di nessuno.
Fallire per aver fatto una scelta e poi riprovare ancora, senza timore.
Questo è l’insegnamento più bello della vita.
Prendere la propria strada, la strada che ci appassiona particolarmente, ma che non per forza si potrà rivelare quella più giusta e adatta alla nostra vita.
Imparare a rialzarsi senza paura e sempre con il sorriso.
Lo so, non è facile.
Può sembrare molto più semplice seguire la massa per essere apprezzati o per avere la sicurezza di non essere giudicati.
Impariamo a buttarci… per fare quello che ci piace, quello che più ci rende felici.
Impariamo a rubare la scena, la luce che vi illuminerà sarà quasi accecante, come la luce di un teatro che illumina il protagonista dello spettacolo.
Impariamo a sentirci adeguati, per poter apprezzare di più ciò che circonda.
Impariamo a far valere la nostra vera personalità, mostrando sempre il sorriso di una persona che si è buttata nella realtà della vita senza paura.
C’era una volta un re, spaventato dalla morte e molto vicino a questa. Aveva quattro mogli, amate da lui tutte in modo diverso. Spaventato dall’affrontare il viaggio nell’aldilà da solo iniziò a chiedere loro, una per una, di seguirlo. Fece questa proposta prima alla quarta moglie, alla quale offrì gioielli, vestiti e tanti altri beni materiali: lei era la sua preferita, ma questa si rifiutò di seguirlo. Chiese allora alla terza moglie, della quale era molto fiero, ma questa, tremendamente innamorata della sua vita terrena, si rifiutò. Anche la seconda moglie, quella che più di tutte lo aveva aiutato nel momento del bisogno, si rifiutò di aiutarlo, dicendo che avrebbe potuto accompagnarlo solo al suo funerale. Infine, fu la prima delle sue mogli a parlare spontaneamente: “verrò con te ovunque, ti seguirò in qualsiasi luogo del mondo, anche se si tratta dell’aldilà”. Lei era la persona della quale il re si era preso meno cura, tanto da sentire tutto il peso e l’imbarazzo delle sue azioni.
Vi chiederete perché vi ho raccontato questa storia che sembra così tragica: c’è una morale ben precisa. Questa storia ci insegna come tutti noi abbiamo quattro mogli: la quarta moglie rappresenta il nostro corpo, quello che ci piace decorare con gioielli e vestiti, quello che non potrà seguirci nell’altra vita; la terza moglie simboleggia ciò che materialmente possediamo, tutte quelle cose di cui ci vantiamo con orgoglio e che non ci seguiranno; la seconda moglie rappresenta tutte le persone che abbandoniamo e che potranno solo ricordarci. Infine, c’è l’ultima moglie, quella della quale quasi nessuno si prende cura come dovrebbe: la nostra anima, l’unica cosa che ci seguirà davvero in quella vita di cui il re aveva tanto timore.
Rifletto su me stessa, sull’attenzione che do alle mie “mogli” e su quello che dovrei fare per valorizzarle al meglio, quanto serve. Questa storia mi ha confermato quanta importanza diamo alle cose materiali e aleatorie, a discapito di quelle importanti. Non sempre ci preoccupiamo della salute della nostra anima, fatta di sogni, emozioni e sensazioni, che si palesa nei nostri occhi e che è più “noi” di noi stessi. Possiamo fidarci solo di quella, l’unica cosa che mai lascerà il nostro corpo e che troppo spesso, proprio come era pronto a fare il re prima di riconoscere i suoi errori, viene abbandonata o non considerata nella sua estrema importanza. Molti non lo sanno, altri ci metteranno un’intera vita a capirlo, ma chi come me conosce questa storia lo ha già capito: noi siamo la nostra anima e la nostra anima è noi,
l’emblema della fedeltà,
pura, enigmatica ed inestimabile.
una lingua che non tutti sono capaci di comprendere
e un tesoro che non tutti sono capaci di custodire.
Ti mordo dentro. Ti divoro.
Prima piano, poi forte.
Inizio lentamente, dalla pancia fino al petto.
Lo senti il cuore che si stringe? Sono io che lo stritolo dentro le mie mani.
E mentre stringo, inizio a salire. Prendo l'ascensore e piano dopo piano, arrivo alla gola.
Cosa ti gratti a fare? Sono dentro. È un prurito interno, non si tratta della sciarpa che porti intorno al collo.
Sono io che graffio.
È più comodo: prima salivo le scale, ora con l'ascensore sono anche più veloce e in un batter d'occhio arrivo al naso.
Brava, mi raccomando, devi dire che sei raffreddata: è per questo che tiri su col naso.
Oh, e questa è la mia parte preferita: vediamo quanto reggi, per evitare le lacrime.
Pungo qui, poi un po' più in là, torniamo indietro…
Le senti come bussano?
Perché alzi la mano? Oh, vai in bagno?
Mi dispiace, non puoi piangere. Il mio lavoro è darti noia, se tu riesci a sfogarti, dove sta il mio divertimento?
Su dai, torna in classe, così ricomincio il mio turno di lavoro.