ciò che semini raccogli.
bruci il filo con un accendino
mi dici che è bella la carta che ho usato
un bacio sulla fronte
sei felice
si vede
lo sono pure io
adesso dovrò comprarlo un giradischi
mi dici
i vinili sono qualcosa di magico
come la musica incisa in quello che ti ho regalato
un giorno ce lo ascolteremo
nella tua nuova casa
la nostra foto sul muro
in mezzo ai ritagli dei libri di storia dell’arte
e design
ti ricordi?
come fai ad avere questa positività
mi chiedevi
come fai ad essere così con le persone?
e adesso sei qui che cammini per il centro
parlandomi di quanto sei felice
e di quanto tu riesca a vedere il bello nelle cose
mi piace
come parli adesso
delle cose
mi piace pensare
a quando te ne parlavo io
e tu mi chiedevi come facessi
che questo pianeta non è un bel posto
e che non c’era troppo spazio per quelle come me
che non si può dare così tanto di noi
io ti ascoltavo si
ma facevo finta di nulla
tutto quello che potevo darti
ho voluto dartelo
non so
vorrei dire per merito
ma non so realmente perché lo facessi
e perché continuo a farlo
e probabilmente continuerò
ma adesso mi accarezza
le orecchie
di tutto quello che ho fatto
l’eco.
Più volte nel corso di una giornata involontariamente mi capita di soffermarmi su quelle piccolezze che contornano i movimenti che normalmente ognuno di noi compie e, scioccamente, mi ci incastro da capo a piedi. Non lo reputo un problema questo, anzi, mi piace navigare tra le sfumature della formazione di persone che hanno un passato diverso dal mio e che, per forza di cose, sono cresciuti in una maniera differente, ma troppo spesso con quello che capto attraverso i miei occhi curiosi mi ci vesto, mi ci insinuo a tal punto da riuscire a cucirmi addosso le stesse loro paure, i soliti loro timori e faccio delle loro emozioni il mio maglione colorato. A volte è divertente: perdersi tra il giallo sole delle loro risate e l’arancio acceso dei loro sorrisi mi dà modo di nutrirmi della loro felicità e di quella ilarità ne faccio tesoro portandola in tasca nel corso della giornata. Esistono poi anche i momenti in cui, invece, l’affinità tra me ed il soggetto squadrato mi porta a precipitare nella profondità dei suoi pensieri blu cobalto e delle altrui paure nero pece che mi rimangono incollate addosso come burro fuso. Questa doppia colazione a base di prodotti diversi mi invita anche a scoprire quale sia stato il sapore idoneo a far scaturire tale situazione psicologica, la quale diventa mia anche quando non l’ho mai percepita. Così inizio ad accessoriare il mio corpo con quella forza e quelle fragilità altrui che mi permettono di indossare i capi più svariati, andando a tingermi di qualsiasi colore pur di comprendere il sentimento dell’altra persona, al fine di trasformarmi nel supporto adatto a sostenerlo in ogni sua decisione, nella parola giusta al momento del bisogno oppure nel comportamento più adatto a restituirgli la serenità. Da ogni movimento traggo una storia, inclusiva di inizio, svolgimento, conclusione ed alle volte anche commento, tessendomi nella trama di chiunque pur di essere quella qualunque cosa che possa fare al caso loro. Poi finisco col costruirci castelli di carta, ma quella è un’altra storia!
Mi guardo e mi piaccio
Mi guardo e sono fiera di me
Mi guardi e dici: ma io come faccio?
Ti guardo e ti dico: fidati di me.
Non dare voce a quelle voci nella tua testa
Non dare importanza alle chiacchiere che senti in giro
Esprimi ciò che dentro di te è luce e tempesta
E concentrati un istante sul tuo respiro
Credi in quello che sei e in ciò che fai
Non credere a chi ti dice che sei sbagliato
Non aver paura mai
Spesso con le parole ti hanno ferito
E adesso che è appena cominciata, cosa farai?
Fortunatamente dalle persone vicine a te, sarai sempre accudito e solo non sarai mai
Erano appena finite le scuole medie, ed io avevo superato i miei esami. Molto soddisfatto!
Avevo davanti a me un’intera estate spensierata, senza compiti, di puro divertimento, ma solo un quesito mi affliggeva… come sarebbero state le Superiori?
Passai le vacanze con un unico tarlo, questo pensiero.
Inizialmente non gli davo tanto peso, ma più si avvicinava settembre e più il tarlo si faceva sentire.
*Driiinn* Eccola la sveglia. Ore 6.30. Era arrivato il momento fatidico dell’amaro risveglio del primo giorno di superiori. Gli occhi non avevano alcuna voglia di aprirsi, ormai disabituati a quell’orario. Di corsa mi vestii e mi diedi una rinfrescata. Mia mamma, in macchina, mi accompagnò fino al cancello della scuola. Lei era più emozionata di me e con eccitazione mi diede un bacio e mi guardò varcare il cancello.
Di là dal cancello, davanti a me, si presentava un percorso lunghissimo, cinque anni se tutto filava liscio, come fosse una gara ad ostacoli, al termine della quale sarei stato premiato.
Le gambe tremavano, sentivo i battiti del cuore accelerare e le mani sudaticce… eccolo il mio amico… finalmente… con lui ci unimmo allo sconosciuto gruppo che componeva la nostra classe. Imbarazzato mi presentai e da quel momento ebbe inizio la mia nuova esperienza.
Oggi posso dire di essere stato fortunato; con i compagni mi trovo benissimo e con alcuni di loro è nata un’amicizia profonda. Con loro sono maturato ed è lontano ormai quel Mirco che alle scuole medie se non raggiungeva ciò che si era imposto, crollava emotivamente non facendo una gran bella figura davanti ai compagni.
Con la mia classe ho sempre cercato di aprirmi di più, seguendo la filosofia di pensiero “come va, va”. E se prima avevo paura di esprimere le mie idee per il timore di essere criticato, adesso non è più così, anche perché esprimere le proprie idee non è sbagliato, anzi è un modo per farsi conoscere dagli altri.
Mi sono anche reso conto che i professori sono esseri umani come noi; che anche loro sono stati adolescenti e che quindi capiscono le nostre sfaccettature adolescenziali. Sono sempre pronti a porgerci la loro mano quando ci troviamo in difficoltà. Il rapporto con loro è diverso da quello che avevo con i prof delle medie. Lo sento un po' più alla pari.
Inutile dire che della scuola precedente al Covid sento molto la mancanza. Questa DAD sta iniziando a stufarmi, dal momento che da più di un anno non riesco ad interagire appieno con professori e compagni. Mi mancano le chiacchierate durante la ricreazione… in DAD per fare ricreazione si sta alla scrivania, sul divano o sul letto a girarsi i pollici. È proprio quell’atmosfera che mi manca, le voci, il via vai nei corridoi, porte che si aprano e si chiudono, le code in bagno. Non vedo l’ora di poter tornare a prendere il bus per arrivare a scuola, senza paura del contagio, senza mascherina, senza gel igienizzante.
Rivoglio la mia gara ad ostacoli per poterli affrontare, superare ed essere premiato!
Lui era diverso. Sapevo fosse speciale, ma non così tanto…
L’ho incontrato a novembre, vicino al laghetto ghiacciato della mia città. Mi ha rovesciato il caffè sulla giacca e per ripagare si è offerto di aiutarmi a pulirla, per quanto possibile. Ci siamo presentati, anche se non sarebbe stato necessario: già ci conoscevamo, sembrava ci conoscessimo da una vita. Mi chiese se volessi unirmi a lui, aveva tanto da raccontarmi. Aveva così tanto da raccontarmi che parlammo fino a tarda ora, nonostante sembrasse ci fossimo incontrati solo poche decine di minuti prima. È così che lo incontrai, tra un caffè ed una chiacchierata, come vecchi amici che si rincontrano dopo anni. Abbiamo condiviso qualcosa di straordinario, che capita una sola volta nella vita: ciò che ci tradì fu il tempo.
Sembrava tutto perfetto, era tutto perfetto. Trascorremmo molto tempo insieme, il che mi confermò il nostro legame. Noi andavamo al di là dell’amore: eravamo la stessa persona, io ero lui e lui era me, dovevamo soltanto incontrarci per averne la conferma. Mi ha resa felice, completa, spensierata e consapevole. Sapevo che non sarebbe stato per sempre, me lo sentivo, ma non mi importava. In lui io avevo trovato me stessa, era fatto d’amore. Un amore diverso dall’ordinario, di quella forma che ti scorre nelle vene e nell’anima e che ha un unico modo per sbloccarsi. Decisi di iniziare a registrare ogni momento perché tutto questo andava conservato, volevo ricordarlo per sempre. La mia telecamera era la nostra migliore amica, avrebbe reso eterni momenti passeggeri e dai quali poi, anche se distanti, nessuno dei due si sarebbe mai separato. Era una spettatrice esterna, eterna, che guardava tutto con gli occhi di una 35mm e che ci permetteva di affrontare un nemico più grande. Ci sarebbe rimasto qualcosa di noi anche dopo averlo perso materialmente, perché il ricordo non se ne sarebbe mai andato e perché il rimpianto ci avrebbe feriti più del dolore stesso.
Prima che se ne andasse, lo abbracciai, forte, in modo che si ricordasse di me, così come io mi sarei ricordata di lui: quella fu l’ultima volta che lo vidi. L’ho abbracciato per l’ultima volta ma in quel momento non stavo registrando, volevo godermelo e ricordarmelo in modo diverso. Rivedere quel filmato avrebbe soltanto riaperto una ferita ancora oggi non del tutto guarita, mi avrebbe fatto provare qualcosa di troppo diverso rispetto al momento reale e non volevo pentirmi di niente, a me sta bene così. Lui mi ha dato tanto, troppo, più di quanto avrei mai potuto avere bisogno, ed io conserverò tutto.